Il disastro di Chernobyl del 1986 ha rilasciato nell’ambiente una quantità significativa di cesio-137, un isotopo radioattivo con un tempo di dimezzamento di poco più di 30 anni. Dato che sono passati più di tre decenni dall’incidente, ci si aspetterebbe una riduzione del 50% dei livelli di questo isotopo. Tuttavia, nei cinghiali, tale calo non si è verificato, mantenendo i livelli di radiazione quasi costanti.
Gli scienziati, utilizzando tecniche di misurazione avanzate, hanno scoperto che un altro isotopo, il cesio-135, che ha un tempo di dimezzamento molto più lungo, contribuiva alla persistente radioattività. Questo isotopo è difficile da rilevare e richiede metodi sofisticati per essere identificato. “Il cesio-135 ha un tempo di dimezzamento così lungo che raramente decade, e non può essere rilevato semplicemente con i rilevatori di radiazioni. È necessario ricorrere a metodi spettrometrici di massa e compiere sforzi notevoli per distinguerlo con precisione dagli altri atomi,” ha dichiarato il professor Georg Steinhauser, esperto in radiazioni.
La ricerca ha rivelato che i cinghiali di Chernobyl sono ancora contaminati da cesio-135, il che spiega i livelli elevati di radioattività nel loro organismo. Ciò solleva interrogativi sul motivo per cui solo i cinghiali sono influenzati, mentre altri animali selvatici, come i cervi, sembrano non esserlo.
La risposta potrebbe risiedere nella dieta particolare dei cinghiali, che si nutrono di tartufi di cervo, un fungo che cresce tra i 20 e i 40 centimetri sotto terra. Il cesio si infiltra lentamente nel suolo, quindi i tartufi, trovandosi a una certa profondità, iniziano solo ora ad assorbire il cesio rilasciato durante il disastro di Chernobyl. Allo stesso tempo, questi funghi sono ancora carichi di isotopi di cesio derivanti dai test nucleari effettuati durante la Guerra Fredda.
Questa doppia esposizione a fonti di radiazione a rilascio lento ha mantenuto i livelli di contaminazione nei cinghiali relativamente costanti per decenni, mentre altri animali selvatici sono riusciti a riprendersi e persino a prosperare nella regione. “Sommando tutti questi effetti, si può spiegare perché la radioattività dei tartufi di cervo – e di conseguenza dei cinghiali – rimanga relativamente costante nel tempo,” ha spiegato Steinhauser.
Il lavoro di questi ricercatori dimostra la complessità delle interazioni negli ecosistemi naturali e l’importanza di misurazioni precise per risolvere tali enigmi. I risultati dello studio sono stati pubblicati l’anno scorso sulla rivista Environmental Science & Technology, offrendo nuove prospettive sulla persistente sfida della radioattività a Chernobyl e sottolineando l’importanza di continuare a monitorare gli effetti ambientali a lungo termine di disastri nucleari.
